Laddove si instaurano relazioni tra individui, si apre la possibilità del conflitto. Ma che cos’è un conflitto? Tra le molteplici definizioni che identificano questo concetto, vi è quella proposta dalla studiosa di processi di mediazione, Jacqueline Morineau:
“Il conflitto si rivela come una fase intermedia tra uno stato d’ordine iniziale che si è trasformato in disordine, e a partire dal quale, nel migliore dei casi, l’obiettivo prefisso è di giungere a una fase finale che vorrebbe essere un nuovo ordine”.
Questa fase di tensione può essere affrontata in diversi modi, a seconda del contesto, delle motivazioni che hanno generato la controversia e delle parti coinvolte: tutti fattori che, insieme, contribuiscono a caratterizzare le dispute nelle loro peculiarità.
Una prima classificazione dei modi in cui la disputa può essere affrontata (e risolta) distingue i metodi di risoluzione tramite aggiudicazione da quelli che, invece, volgono al raggiungimento di un accordo tra le parti. (c.d. settlement).
Ricorrono al metodo aggiudicativo le parti che reputano impossibile il raggiungimento di un accordo e decidono di rivolgersi ad un terzo imparziale. La quasi totalità dei legal drama Hollywoodiani rappresentano questo tipo di sistema: un terzo celebra il processo, durante il quale valuta le ragioni di entrambe le parti, le confronta con le norme di riferimento e, infine, decide. E’ chiaro quindi che, nel decidere, il giudice (o arbitro) non assume quale criterio per la risoluzione del conflitto la volontà delle parti, che resta potenzialmente del tutto frustrata e “piegata” al fine di comporre, almeno apparentemente, la situazione di tensione. Soluzioni di questo tipo, di conseguenza, oltre a lasciare spesso insoddisfatti i litiganti, possono comportare una “rottura” definitiva tra i soggetti coinvolti: fatto, questo, che può gravemente compromettere rapporti professionali e commerciali indipendenti rispetto alle dinamiche che hanno originato la lite.
Tra i metodi compositivi, che prevedono il raggiungimento di un accordo tra le parti, vi è la mediazione, che non gode di altrettanto clamore cinematografico. A differenza dei sistemi aggiudicativi, in cui la comunicazione è rigida e filtrata dalle regole processuali, la mediazione si svolge all’interno di uno spazio in cui il dialogo ricopre un ruolo primario ed è condotto da un mediatore. Tale figura, agendo come facilitatore, ha il preciso obiettivo di direzionare il confronto tra le parti verso il raggiungimento di un nuovo “ordine” e il superamento del “disordine” generato dal conflitto. Nel contesto di questo incontro dialogico, la consapevolezza degli attori apre la possibilità al chiarimento, con una maggiore predisposizione delle parti a fare delle concessioni al fine di raggiungere l’obiettivo finale: questo non si concretizza in una vittoria sull’altro, ma sul ripristino di un equilibrio che la lite ha compromesso. Nel processo di mediazione, infatti, le parti ambiscono sì al raggiungimento dei propri interessi, ma senza compromettere la possibilità di un rapporto futuro con la controparte.
Affinché risulti efficace, la mediazione deve lasciare spazio ad una condivisione delle emozioni al fine di raggiungere il totale coinvolgimento delle parti, che hanno una percezione parallela e, spesso, incompatibile dei fatti che hanno provocato la lite. Fondamentale è qui il ruolo dell’empatia, intesa come capacità di comprendere lo stato d’animo altrui e di visualizzare il conflitto con gli occhi dell’altro, per aprire la strada alla comprensione.
La mediazione, infatti, comporta l’attivazione di dinamiche dialogiche in cui il mediatore agisce quale specchio: recepisce le emozioni degli attori per rifletterle durante il loro incontro, in occasione del quale le parti condividono i rispettivi vissuti allo scopo di ricostruire e reinterpretare i fatti secondo una logica non più oppositiva, ma collaborativa. Attraverso il graduale ripristino del confronto tra le parti, la mediazione si concretizza, infine, in un accordo formale voluto e condiviso dai partecipanti, che emergono dalla lite, tutti, vincitori e soddisfatti.
L’adozione di un metodo di tipo compositivo, perciò, appare di fondamentale importanza nei contesti in cui i conflitti debbano necessariamente risolversi non nella “ordinata” cessazione di un rapporto, ma in un nuovo punto di partenza che consenta la costruzione di una rete di relazioni future tra le parti.
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