Il concetto di rischio di credito o “rischio di insolvenza” ha assunto maggiore importanza a partire dall’istituzione del “Comitato di Basilea per la Vigilanza” che, nel 1988, ha voluto introdurre attraverso Il primo Accordo di Basilea i sistemi di rating nelle pratiche di misurazione del rischio.
Quello del rischio di credito è sempre più un concetto attuale, inserito oggi in un’epoca in cui il credito al consumo è in crescita esponenziale.
Basta pensare che solo tra Gennaio 2017 e Settembre 2017 i prestiti personali sono cresciuti del 14,6% (Osservatorio sul Credito al Dettaglio di Assofin, CRIF e Prometeia).
Per rischio di credito intendiamo “la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria”.
Dunque il rischio di credito rappresenta il rischio di perdite dovute all’incapacità della parte verso cui si è assunta una esposizione creditizia di adempiere alle proprie obbligazioni di pagamento (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino).
Parallelamente all’aumento della domanda di credito sono aumentati altresì i rischi di insolvenza. Per ridurre questi rischi ed attuare una corretta gestione del credito, gli istituti bancari devono utilizzare metodi statistici rigorosi, che supportino le fasi di: istruttoria, accettazione, controllo e recupero del credito.
In effetti, i prestiti personali vengono definiti come una forma di finanziamento molto rischiosa, in quanto i clienti utilizzano i capitali ottenuti in prestito dalla banca non per investirli e produrre nuovo reddito, ma “per consumarli”. Esistono dunque diversi metodi utili alla valutazione della fattibilità di una richiesta di prestito da parte di un cliente privato.
Il cliente viene anche profilato dal punto di vista socio-demografico e comportamentale.
Ad esempio l’età anagrafica, il tipo di impiego e la città di residenza incidono considerevolmente sull’esito della richiesta. È opportuno in effetti verificare che tipo di contrattualistica ha il cliente, con chi convive (o se vive autonomamente), se è single, separato o divorziato. Queste sono tutte variabili che gli istituti di credito interpretano come necessarie per descrivere il quadro della situazione.
In ogni caso è sempre fondamentale verificare che il cliente, con il suo reddito e il suo patrimonio attuale sia in grado, senza difficoltà, di rimborsare gradualmente il suo debito.
Ricordiamo a tal proposito, la crisi finanziaria o crisi dei subprime che vide protagonista gli Stati Uniti d’America nel 2008: tale crisi prende il nome dai cosiddetti subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio, considerati da molti analisti come fenomeni di eccessiva speculazione finanziaria.
Chiedere un prestito è, per alcuni, un’azione psicologicamente frustrante e da sempre la richiesta di denaro a terzi ci pone in una situazione di disagio. Spesso di fronte al rifiuto da parte degli istituti di credito, non avendo chiara la reale motivazione, ci si sente in una condizione sfavorevole anche per richieste future.
È altrettanto vero che il rapporto cliente-consulente si pone spesso in una situazione di incertezza; entrambi i soggetti in effetti sono dubbiosi nei confronti dell’altro. Inizialmente, prima di conoscere la reale situazione del richiedente prestito, l’istituto di credito è giustamente diffidente e scettico, dovendosi tutelare e valutare attentamente il reale rischio di insolvenza di fronte al quale si trova.
Parallelamente, il cliente che sceglie di rivolgersi al creditore è in fase di valutazione anch’esso e necessita ugualmente un comportamento chiarificatore e del tutto trasparente.
La casa dei tuoi sogni è dietro l’angolo.